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Guido Michelone: Il Jazz e le idee
ByGuido Michelone
297 pagine
ISBN: 978-88-6231-714-6
Arcana Edizioni
2020
In che modo la musica jazz si relaziona al mondo? Com'è interrelata alle altre musiche ed espressioni artistiche? Che relazioni ha con le idee intese come fenomeni umani? E, più specificamente, che cos'è esattamente un'idea? Ad un primo sguardo, queste potrebbero sembrare domande filosofiche nel senso più astratto del termine. In realtà, ne Il Jazz e le idee, Guido Michelone, al suo quarto libro pubblicato per Arcana, dimostra come riflettere in maniera libera e leggera intorno al jazz equivalga a cercare di comprendere nel senso più concreto la storia dell'umanità e, dunque, il suo presente e il suo futuro.
Il libro è diviso in 33 capitoli, come i giri del long playing la cui invenzione, datata agli inizi degli anni '50, secondo Michelone (molto attento in questo libro nel saper cogliere gli aspetti puramente materiali dell'esistenza) "rivoluziona l'intera esperienza jazzistica." Ogni capitolo è dedicato appunto a un'idea e al modo in cui quest'ultima si relaziona al jazz: dall'amore alla filosofia, dalla spiritualità alle stagioni, dalle arti libere all'ontologia e alle religioni. Le idee sono intese da Michelone quali "pensieri, ragionamenti, concetti, riflessioni sull'esistente e su ciò che permea sia ogni forma vivente sia soprattutto l'essere umano odierno." Mettere il jazz in relazione a vari aspetti della vita umana rappresenta un'espediente grazie al quale l'autore ci consente da un lato di approfondire argomenti complessi, dall'altro di guardare alle cose da una prospettiva diversa, che potremmo definire storico-materialista-divulgativa, alla quale certamente non siamo abituati, soprattutto in riferimento ai libri sul jazz.
A parte alcuni passaggi autoreferenziali (per esempio il capitolo "Autobiografia," di cui non è ben chiaro il senso) e altri ridondanti ("Christman Album" e "Natale" potevano essere tematicamente accorpati in un unico capitolo-idea, come anche "Concerto" e "Performance"), il libro si legge con grande piacere e interesse.
Risultano particolarmente illuminanti i capitoli dedicati alla black family, alla Madre Africa e alla spiritualità, nei quali Michelone richiama i vari studi che collocano le origini del jazz nel periodo in cui sbarcano sul suolo nord-americano le prime tratte di schiavi dalle coste dell'Africa Occidentale per lavorare nelle piantagioni del Profondo Sud. Siamo nel 1619, e da allora l'afroamericano sarà costretto a costruirsi una propria cultura di resistenza, mescolando elementi derivanti dall'inscindibile rapporto con la Madre Africa con riferimenti che fanno invece parte della cultura padronale (anglosassone in particolare). Come ci fa notare l'autore, proprio da questo tentativo di ridefinizione culturale e dunque identitaria in cui la Madre Africa rimane elemento fondante, nascerà, intorno all'Ottocento, la musica jazz, e poi successivamente il blues, il rhythm and blues, il raggae, l'hip-hop, e via dicendo.
Anche la relazione con le dittature permette una definizione ancora più approfondita di cosa sia il jazz. Michelone si (e ci) interroga sul perché le grandi dittature del Novecento abbiano di fatto censurato il jazz pur essendo in quei tempi un genere musicale che non poteva essere definito esplicitamente impegnato nell'accezione politica del termine. Il jazz è conoscenza, una delle forme di conoscenza più libere e senza regole che ci siano e, come ci spiega Michelone attraverso le parole di Dario Fo, la conoscenza rende liberi. Da qui l'odio viscerale dei regimi totalitari nei confronti del jazz.
Si potrebbero richiamare moltre altre idee evocate da Michelone, ma quelle finora riportate sono già del tutto sufficienti a dimostrare quanto per l'autore parlare di jazz significhi non soltanto discutere di musica o di arte, "ma anche e soprattutto far passare implicitamente discorsi esistenziali fondanti," che hanno a che fare con la politica, con il sociale, con la spiritualità, con la storia, con tutto ciò che, in sintesi, riguarda la sfera umana dell'esistenza.
Tutti argomenti già trattati e letti altrove, si dirà (e a tal proposito: la discografia selezionata, la bigliografia italiana e la videografia internazionale che chiudono il libro rappresenteranno un bene prezioso per chiunque voglia approfondire i temi trattati nel libro). Eppure, mai come in questo caso, la forma conta più della sostanza. Michelone non parla a un pubblico specialista, ma a quello generalista, al tanto acclamato (ma in realtà vituperato) popolo. Lo fa attraverso una scrittura ritmica e percossa da smottamenti, a volte da improvvisazioni, manco fosse, questo modo di scrivere, una musica jazz. Si tratta di un linguaggio asciutto e ammaliante, che possiede il dono di liberare l'immaginazione e che sacrifica, al contrario del linguaggio critico più diffuso, l'espansione a beneficio della profondità. "Cosa c'è di peggio che un jazz noioso, retorico, tronfio e saccente? Credo nulla." Sì, è proprio così. Assolutamente nulla.
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